Mayo 17, 2025

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Alla sua ottava edizione, il festival dell’audiovisivo ospitato nell’area di archeologia industriale più estesa d’Europa – che fa capo al Gazometro Ostiense, oggetto di un lungo progetto di rigenerazione promosso da ENI – si presenta in formato più esteso, con un giorno in più di programmazione, e forte del supporto di una nuova rete, CO-VISION, di cui è project leader con l’obiettivo di sviluppare entro il 2026 un archivio digitale europeo accessibile a tutti, per dare voce alle urgenze ambientali del nostro tempo.

Videocittà 2025 al Gazometro di Roma. Il tema

Intanto, dal 3 al 6 luglio 2025, il pubblico di Videocittà è invitato a partecipare a esperienze immersive, talk e attività in realtà aumentata, spettacoli audiovisivi, apprezzando le installazioni e i videomapping inediti che animeranno l’area del Gazometro.
Dal 2018 a oggi, il festival ha accolto oltre 550 artisti, attestandosi come laboratorio per talenti emergenti, poi sbocciati in ambito internazionale. In omaggio all’800esimo anniversario del Cantico delle Creature di San Francesco, l’edizione 2025 si concentrerà sul Sole come simbolo di vita, luce, energia, chiamando gli artisti coinvolti a esplorare il rapporto tra sostenibilità, ambiente e innovazione digitale. Chiudendo così la quadrilogia sul rapporto tra uomo e natura avviata nel 2022 con la Luna, e proseguita con la Terra e la Galassia.

Quayola, Solar. Render
Quayola, Solar. Render

“Solar”. L’installazione site-specific di Quayola

La grande installazione site-specific che connota ogni edizione del festival, avvolgendo il gazometro G4, sarà realizzata quest’anno dall’artista romano QuayolaSolar si ispira al fenomeno ottico dei raggi crepuscolari, e riproduce un ciclo infinito di albe e tramonti digitali, rendendo la luce materica. Per visitarla in modo più ordinato, quest’anno il pubblico potrà scegliere online una fascia oraria di riferimento (con l’obbligo di presentarsi 15 minuti prima dell’ingresso).

Videocittà 2024
Videocittà 2024

Il programma di Videocittà 2025: dalla videoarte alle esperienze VR

La Terrazza G3 ospiterà la rassegna di Videoarte a cura di Damiana Leoni e Rä di Martino. Si comincia giovedì 3 luglio con l’artista cinese Lu Yang, per la prima volta a Roma con lavori che evocano il mondo dei videogame tramite video, scultura, luce e suono. Il 4 luglio sarà la volta di Lawrence Lek (Premio Frieze Artist 2024), artista londinese di origini cinesi e malesi, noto per aver promosso il concetto di Sinofuturismo, con installazioni che esplorano temi spirituali ed esistenziali attraverso la lente della fantascienza. Sabato 5 luglio, invece, si torna in Italia con Federica Di Pietrantonio, vincitrice dei Videocittà Awards 2024 per la categoria Videoarte.
Seguendo la strada avviata nel 2024, anche quest’anno le Esperienze Virtual Reality curate da Anna Lea Antolini avranno ampio spazio. Aumenta, dunque, il numero di visori (oltre 100) a disposizione dei visitatori, distribuiti nelle aree dedicate alle avventure virtuali, dove in prima nazionale sarà presentata la Ayahuasca-Kosmic Journey di Jan Kounen. L’artista francese Adelin Schweitzer proporrà, invece, #Alphaloop_VR, una performance interattiva ispirata alle teorie sullo sciamanesimo cibernetico. Torna la partnership con Rai Cinema (nel salotto VR con Nebula, Aurora e Cabiria); IMPERSIVE presenta tre titoli tratti dalla sua produzione, Saudi Dakar, Ocean Luna Rossa e Prada Dubai Mode, diretti da Guido Geminiani.

Videocittà 2024
Videocittà 2024

I talk, la musica e le performance di Videocittà 2025

Tra gli appuntamenti da non perdere, il 3 luglio il main stage ospiterà il primo di una serie di appuntamenti dedicati all’intelligenza artificiale, proiettando ENO, documentario generativo su Brian Eno, ideato e diretto da Gary Hustwit. Seguirà talk di approfondimento su potenzialità e rischi dell’AI, con Simone Arcagni. A proposito di conversazioni, tra gli ospiti attesi si segnalano Luca Ravenna, Caterina Guzzanti, Coolman Coffeedan, Francesco De Carlo e Fabio Celenza, chiamati a discutere sull’evoluzione del linguaggio digitali. A moderarli, Nicolas Ballario, che torna a presentare la rassegna.
E ancora, il main stage ospiterà – durante i cambi di palco – anche la mostra dinamica e immersiva Il Miglior internet di sempre, che vuole presentare le migliori espressioni della creatività digitale contemporanea. Tra gli artisti in scena Demi Jenkins, Nina Nayko, Travis Scotti, Retirement House, Angelica Hicks, Pupetti Tutti Matti, Jacob Grégoire, Peachyskaterre Daniel Coffman.
Ricchissima, infine, la programmazione di spettacoli audiovisivi, a cura di Michele Lotti. Per l’opening, il 3 luglio, andrà in scena l’anteprima italiana di Onirica () live dei fuse*, performance che esplora la percezione del corpo nel regno dei sogni; il 4 luglio sul palco si avvicenderanno okgiorgioportaMax Cooper e Victoria De Angelis. Il 6 luglio, la conclusione sarà affidata a Dardust, con lo spettacolo Urban Impressionism già presentato alla Nuvola: un’esperienza AV curata da Videocittà, in cui la musica del compositore incontra le architetture digitali di Franz Rosati.
Redazione

L’articolo "Videocittà 2025 torna al Gazometro di Roma. Il festival della visione e della cultura digitale sul rapporto uomo – natura" è apparso per la prima volta su Artribune®.

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La 19ª Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, Intelligens. Natural. Artificial. Collective, ha ufficialmente aperto i battenti. A curare questa edizione è Carlo Ratti che ha definito con chiarezza la visione alla base dell’esposizione: costruire il mondo con intelligenza, ascoltando quella della Terra. Il titolo stesso diventa così un invito alla collaborazione tra diverse forme di intelligenza — naturale, artificiale e collettiva — per ripensare in modo condiviso l’ambiente costruito.
In quello che è un quadro curatoriale aperto, i 66 Paesi partecipanti riescono a raccontare con efficacia il frutto di ricerche approfondite, attraverso allestimenti curati e accessibili anche ai non addetti ai lavori.

La Biennale di Architettura 2025: una manifestazione extraeuropea

L’edizione 2025 si distingue per un’espansione sempre più extraeuropea, grazie alla presenza di quattro nuove partecipazioni nazionali: la Repubblica dell’Azerbaijan, il Sultanato dell’Oman, il Qatar e il Togo. Un’apertura che sottolinea l’invito rivolto a ciascuna nazione di esplorare strategie architettoniche radicate nel proprio contesto locale, dando vita a un dialogo corale di voci e forme di intelligenza diverse. Ospitalità, comunità, equilibrio e memoria sono solo alcuni dei temi che attraversano questi quattro contributi. Ma dietro ogni padiglione c’è molto di più…

Azerbaigian – Equilibrium. Patterns of Azerbaijian

Alla sua prima partecipazione alla Biennale di Architettura, l’Azerbaigian presenta il padiglione Equilibrium. Patterns of Azerbaijan, curato da Nigar Gardashkhanova e promosso dalla Heydar Aliyev Foundation insieme al Ministero della Cultura della Repubblica, con il sostegno dell’ambasciata azera in Italia. Il progetto esplora il delicato equilibrio tra innovazione e memoria, mostrando come la sostenibilità urbana possa radicarsi nella storia e nel paesaggio culturale del Paese.
Al centro della narrazione del padiglione il concetto di “intelligens” viene inteso come intelligenza collettiva al servizio della rigenerazione e dell’equilibrio ambientale. Emblematico in questo senso è il progetto della Città Bianca di Baku, un caso virtuoso di riconversione urbana: un’ex area industriale, nota storicamente come “Città Nera” per il suo ruolo nella raffinazione del petrolio, si trasforma in un moderno centro sostenibile diventando “Città Bianca”.
Dopo decenni di sfruttamento intensivo del suolo e degrado ambientale della baia di Baku, l’intervento di riqualificazione— avviato con un piano d’azione ambientale varato nel 2006 dal presidente Ilham Aliyev — segna una rinascita ecologica e urbanistica. Il padiglione ce lo racconta dimostrando come l’Azerbaigian stia costruendo un futuro verde senza rinunciare alla propria identità, offrendo un precedente concreto e ambizioso, da cui molti potrebbero — e dovrebbero — prendere esempio.

Azerbaijan Pavilion Biennale di Venezia, 2025. Photo © Ugo Carmeni1 / 11
Azerbaijan Pavilion Biennale di Venezia, 2025. Photo © Ugo Carmeni
Victory Park. Credits Adil Yusifov.2 / 11
Victory Park. Credits Adil Yusifov.
Zangilan Mosque. Credits to Heydar Aliyev Foundation3 / 11
Zangilan Mosque. Credits to Heydar Aliyev Foundation
Azerbaijan Pavilion Biennale di Venezia, 2025. Photo © Ugo Carmeni4 / 11
Azerbaijan Pavilion Biennale di Venezia, 2025. Photo © Ugo Carmeni
Beyti Beytak. My Home is Your Home. La mia casa è la tua casa_Photo by Giuseppe Miotto - Marco Cappelletti Studio5 / 11
Beyti Beytak. My Home is Your Home. La mia casa è la tua casa_Photo by Giuseppe Miotto - Marco Cappelletti Studio
Floral patterns motifs, elements of inspiration for the Omani Pavilion space and design6 / 11
Floral patterns motifs, elements of inspiration for the Omani Pavilion space and design
Khanjar, elements of inspiration for the Omani Pavilion space and design7 / 11
Khanjar, elements of inspiration for the Omani Pavilion space and design
Omani window grilles, elements of inspiration for the Omani Pavilion space and design8 / 11
Omani window grilles, elements of inspiration for the Omani Pavilion space and design
Togo Pavilion, Biennale 2025. Photo © Matteo Losurdo9 / 11
Togo Pavilion, Biennale 2025. Photo © Matteo Losurdo
Traces, Oman Pavilion V, Courtesy of Sultanate of Oman10 / 11
Traces, Oman Pavilion V, Courtesy of Sultanate of Oman
Traces, Oman Pavilion V, Courtesy of Sultanate of Oman11 / 11
Traces, Oman Pavilion VII, Courtesy of Sultanate of Oman
Azerbaijan Pavilion Biennale di Venezia, 2025. Photo © Ugo Carmeni
Victory Park. Credits Adil Yusifov.
Zangilan Mosque. Credits to Heydar Aliyev Foundation
Azerbaijan Pavilion Biennale di Venezia, 2025. Photo © Ugo Carmeni
Beyti Beytak. My Home is Your Home. La mia casa è la tua casa_Photo by Giuseppe Miotto - Marco Cappelletti Studio
Floral patterns motifs, elements of inspiration for the Omani Pavilion space and design
Khanjar, elements of inspiration for the Omani Pavilion space and design
Omani window grilles, elements of inspiration for the Omani Pavilion space and design
Togo Pavilion, Biennale 2025. Photo © Matteo Losurdo
Traces, Oman Pavilion V, Courtesy of Sultanate of Oman
Traces, Oman Pavilion V, Courtesy of Sultanate of Oman

Qatar – Beyti Beytak. My Home is Your Home. La mia casa è la tua

Uno dei padiglioni più attesi della Biennale è senza dubbio quello del Qatar, tanto discusso quanto significativo per la svolta storica che rappresenta: dopo trent’anni, una nuova nazione entra nei Giardini, cuore simbolico dell’Esposizione. È qui, nel luogo dove dal prossimo anno troverà spazio il padiglione permanente del Qatar, su progetto di Lina Ghotmeh che si trova una delle due sedi del padiglione. Si tratta del Community Centre, una struttura temporanea in bambù e fronde di palma progettata dall’architetta pakistana Yasmeen Lari, pioniera della “de-architettura”, un approccio radicale basato su sostenibilità, tecniche vernacolari e impatto minimo. Il tema centrale è l’ospitalità, intesa come incontro e condivisione, tema che prosegue arricchendosi anche nelle sale di Palazzo Franchetti. Curata da Aurélien Lemonier e Sean Anderson, l’esposizione riunisce oltre trenta architetti da Medio Oriente, Nord Africa e Asia meridionale, esplorando ottantacinque anni di spazi di accoglienza: dalla casa all’oasi, dal museo al giardino. Una riflessione sull’ospitalità come valore civico, etico e architettonico. Un debutto forte, che segna l’ingresso del Qatar nel dialogo culturale globale.

Repubblica del Togo – Considering Togo’s Architectural Heritage

Debutta alla Biennale anche la Repubblica del Togo, con il progetto Considering Togo’s Architectural Heritage, a cura di Studio NEiDA e su iniziativa di Sonia Lawson, direttrice del Palais de Lomé. Le curatrici tracciano un percorso che esorta riscoprire e valorizzare la memoria architettonica del togolese, invitando a rispettare il passato per affrontare con consapevolezza le sfide del presente. La mostra esplora un patrimonio architettonico che spazia dalle antiche costruzioni in argilla, doloroso retaggio della schiavitù, fino alle audaci sperimentazioni del modernismo post-indipendenza. Un’eredità ricca e sorprendente, che racconta l’evoluzione dell’identità del paese e che oggi si rivela come straordinaria fonte di ispirazione per una nuova generazione di architetti e costruttori. Questo viaggio, non solo amplia la nostra comprensione dell’architettura del Togo, ma ci ricorda l’urgenza di conoscere e valorizzare ciò che esiste, come fondamento per progettare un futuro che rispetti le radici storiche e culturali.

Togo Pavilion, Biennale 2025. Photo © Matteo Losurdo
Togo Pavilion, Biennale 2025. Photo © Matteo Losurdo

Sultanato dell’Oman – Traces

Curato dall’architetta Majeda Alhinai, il progetto si articola intorno al concetto di Sablah, il tradizionale spazio comunitario omanita, emblema di un’intelligenza collettiva che nasce dall’ospitalità e crea le condizioni perché ogni voce possa essere ascoltata e valorizzata. Il padiglione propone un’architettura che reinterpreta le strutture civiche informali dell’Oman per adattarle alle esigenze della vita pubblica contemporanea. Realizzato in alluminio grezzo, include pannelli perforati che richiamano la forma della dallah, il tradizionale recipiente utilizzato per servire il caffè arabo, e che si ispirano a pratiche culturali omanite come la tessitura delle foglie di palma e il sistema di irrigazione Falaj. Traces non imita la Sablah, ma la mette in atto con la sua struttura aperta che favorisce il dialogo, la riflessione e il movimento. Non ci sono porte né soglie fisse; i visitatori passano attraverso o si fermano liberamente. Lo spazio non impone comportamenti, ma li accoglie e li sostiene. Il progetto riflette la visione dell’Oman per il 2040, mettendo in dialogo tradizione, innovazione architettonica e sostenibilità culturale.
Caterina Rossi

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Il complesso architettonico di Santa Francesca Romana nel quartiere Trastevere, a Roma, è tra i più antichi della città. La sua storia affonda le radici nel Medioevo, con la famiglia Ponziani, per poi ampliarsi con l’architetto Carlo Rainaldi (Roma, 1611 – 1691) e Gian Lorenzo Bernini (Roma, 1598 – 1680), per poi completarsi con Andrea Busiri Vici (Roma, 1818 – 1911) alla fine dell’Ottocento.
Nel XV Secolo nella chiesa viene aperto l’Ospedale dei Ponziani per pellegrini, poveri e malati, su volontà di Santa Francesca Romana, a cui venne poi intitolato il complesso. Ad arricchire la struttura era un ampio giardino che, a metà del Seicento, iniziò ad ospitare opere d’arte. 

Un’area verde che oggi torna protagonista ospitando Altri Venti – Scirocco, l’opera ideata dall’artista Bruna Esposito (Roma, 1960) e prodotta da Studio Stefania Miscetti. Visibile sino al 31 luglio 2025, l’installazione fa parte di un progetto più ampio dedicato alle brezze del sud, invitando il pubblico a un uso più consapevole delle risorse energetiche sostenibili. 

Bruna Esposito AltriVenti - Scirocco 2025 Foto Giorgio Benni
Bruna Esposito AltriVenti – Scirocco 2025 Foto Giorgio Benni

L’opera di Bruna Esposito nel giardino dell’Ospitale Santa Francesca Romana a Roma

Solo accorciando la distanza tra le persone e gli strumenti che possono contribuire al miglioramento della loro quotidianità, è possibile immaginare un cambiamento in chiave ecologica”. Questo è il pensiero alla base della ricerca dell’artista Bruna Esposito su cui nasce la serie Altri Venti.
Dopo la realizzazione di Ostro (esposta negli spazi di Studio Stefania Miscetti a Roma nel 2020 e attualmente in collezione del Centro per l’arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato), nel giardino dell’Ospitale Santa Francesca Romana prende forma Scirocco. L’opera si compone di un gazebo realizzato con materiali naturali, quali bambù, corde, terra e sementi. Un luogo ospitale e abitato dall’aria mossa da un ventilatore alimentato con energia fotovoltaica, oltre che da un’elica navale, elemento ricorrente nelle opere dell’artista.

Bruna Esposito AltriVenti - Scirocco 2025 Foto Giorgio Benni
Bruna Esposito AltriVenti – Scirocco 2025 Foto Giorgio Benni

Il rapporto tra natura e società nelle opere di Bruna Esposito

Tra le opere di Bruna Esposito che affrontano il complesso rapporto tra natura e società e il risparmio e riciclo consapevole dell’energia e delle risorse spiccano: Two Public Biotoilets (1987-1988), Aureole (1999), Verso Sud (2000), Organic Public Toilets (2003), Venti di rivolta o rivolta dei venti (2009). 

“Altri Venti – Scirocco”: un’opera accogliente come il luogo che la ospita 

L’Ospitale Santa Francesca Romana è una struttura straordinaria, con un giardino rimasto sospeso nel tempo che parla da sempre di accoglienza”, spiega ad Artribune la gallerista Stefania Miscetti.L’opera ‘Altri Venti – Scirocco’ parla di incontro, accoglienza e di futuro, pur mantenendo delle radici nel passato, proprio come questo luogo”.  
Valentina Muzi 

Fino al 31 luglio 2025
Altri Venti – Scirocco di Bruna Esposito 
Ospitale Santa Francesca Romana 
Vicolo di Santa Maria in Cappella 6

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È la storia di uno strappo, di una separazione sugellata due secoli fa da un regolare accordo economico, secondo le norme dell’epoca. Una storia che oggi rammenta – non senza rammarico – la quantità e la qualità di tesori sommersi che la Sicilia ha perduto nel tempo e che impreziosiscono le sale di prestigiosi musei internazionali. La mostra Da Girgenti a Monaco. Da Monaco ad Agrigento. Il ritorno dei vasi del ciantro Panitteri, inaugurata a dicembre 2024 al Museo archeologico Griffo di Agrigento e curata da Maria Concetta Parello, riporta nei luoghi d’origine un segmento di una tra le più straordinarie collezioni di vasi attici esistenti al mondo, tesoro dello Staatliche Antikensammlungen di Monaco. Un esempio dell’eccellenza raggiunta dai maestri della pittura vascolare ellenica, tra il VI e V secolo a.C.
L’esposizione è realizzata dal Parco archeologico della Valle dei Templi ed è una delle proposte formulate dall’Assessorato regionale dei beni culturali in occasione dell’anno di Agrigento Capitale della Cultura. L’unico grande evento del palinsesto generale e del progetto vincitore che abbia una natura strettamente archeologica.

Tempio di Hera, Valle dei Templi, Agrigento. Photo Edwin Poon
Tempio di Hera, Valle dei Templi, Agrigento. Photo Edwin Poon

Scavi e fughe di reperti in Sicilia e ad Agrigento

Territorio dalle complesse e profonde stratificazioni storiche, artistiche, mitologiche, Agrigento nel corso dell”800 fu teatro di continue e frenetiche operazioni di scavo e di saccheggio: un’enorme quantità di reperti finì, per vie diverse, in raccolte di ecclesiastici, reali, aristocratici, ma anche di artisti, antiquari, studiosi, appassionati, divenendo nel tempo patrimonio delle moderne collezioni museali, in Europa e oltreoceano.
Grande fu, da un certo punto in poi, l’attenzione riservata ai segreti delle necropoli e ai sempre più ambiti vasi in ceramica finemente dipinti, utilizzati per riti funerari o inseriti nei corredi dei defunti: attività che assunse i contorni di una vera e propria moda. Girgenti, l’antica colonia Akragas, tra i più fiorenti centri culturali della Magna Grecia, fu un autentico pozzo delle meraviglie: non si contano i reperti che lasciarono l’isola nel pieno di questo fermento, tra studi, esplorazioni, grand tour, disseppellimenti, razzie e audaci trasferimenti via terra e via mare.

Da Girgenti a Monaco. Da Monaco ad Agrigento. Il ritorno dei vasi del ciantro Panitteri, exhibition view. Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone1 / 6
Da Girgenti a Monaco. Da Monaco ad Agrigento. Il ritorno dei vasi del ciantro Panitteri, exhibition view. Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone
Da Girgenti a Monaco. Da Monaco ad Agrigento. Il ritorno dei vasi del ciantro Panitteri, exhibition view. Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone2 / 6
Da Girgenti a Monaco. Da Monaco ad Agrigento. Il ritorno dei vasi del ciantro Panitteri, exhibition view. Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone
Da Girgenti a Monaco. Da Monaco ad Agrigento. Il ritorno dei vasi del ciantro Panitteri, exhibition view. Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone3 / 6
Da Girgenti a Monaco. Da Monaco ad Agrigento. Il ritorno dei vasi del ciantro Panitteri, exhibition view. Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone
Da Girgenti a Monaco. Da Monaco ad Agrigento. Il ritorno dei vasi del ciantro Panitteri, exhibition view. Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone4 / 6
Da Girgenti a Monaco. Da Monaco ad Agrigento. Il ritorno dei vasi del ciantro Panitteri, exhibition view. Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone
Il vaso con i poeti Alceo e Saffo della Collezione Panitteri, Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone5 / 6
Il vaso con i poeti Alceo e Saffo della Collezione Panitteri, Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone
Il vaso con Odisseo e il caprone di Polifemo, Collezione Panitteri, Museo Griffo. Ph. Angelo Pitrone6 / 6
Il vaso con Odisseo e il caprone di Polifemo, Collezione Panitteri, Museo Griffo. Ph. Angelo Pitrone
Da Girgenti a Monaco. Da Monaco ad Agrigento. Il ritorno dei vasi del ciantro Panitteri, exhibition view. Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone
Da Girgenti a Monaco. Da Monaco ad Agrigento. Il ritorno dei vasi del ciantro Panitteri, exhibition view. Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone
Da Girgenti a Monaco. Da Monaco ad Agrigento. Il ritorno dei vasi del ciantro Panitteri, exhibition view. Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone
Da Girgenti a Monaco. Da Monaco ad Agrigento. Il ritorno dei vasi del ciantro Panitteri, exhibition view. Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone
Il vaso con i poeti Alceo e Saffo della Collezione Panitteri, Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone
Il vaso con Odisseo e il caprone di Polifemo, Collezione Panitteri, Museo Griffo. Ph. Angelo Pitrone

La collezione Panitteri, tra Agrigento e Monaco

Nel 1988 Agrigento ospitò un’indimenticabile esposizione, organizzata dalla locale Soprintendenza regionale presso la sua sede storica, Villa Genuardi, e curata dal grande archeologo e allora Soprintendente Ernesto De Miro. Con un allestimento progettato da Franco Minissi, Veder greco. Le necropoli di Agrigento organizzava tra due sale un ampissimo corpus di vasi greci provenienti dalle necropoli agrigentine e dispersi tra le collezioni di istituzioni internazionali: dal Louvre di Parigi al Metropolitan di New York, dal British di Londra alla Harvard University di Cambridge, e ancora Lisbona, Berlino, Karlsruhe, senza dimenticare la splendida raccolta del Salinas di Palermo. Insieme a un seminario e alla pubblicazione di un corposo catalogo, fondamentale riferimento bibliografico per la comunità scientifica, l’evento brillò per l’eccezionalità dei prestiti e per l’idea di raccontare, parallelamente, gli scavi più recenti delle necropoli di Agrigento.
Se in quel frangente poterono tornare in Sicilia tre dei vasi di Monaco – unica collezione straniera a cui il catalogo di Veder greco dedicò un intero saggio – oggi, quasi 40 anni dopo e a due secoli esatti dalla vendita dell’intero corpus, 10 dei più importanti esemplari rivedono il suolo agrigentino: questo focus espositivo ricuce così memorie millenarie, il lavoro di generazioni di storici e archeologi, e ancora luoghi e vicende del passato trasformati in nuova occasione di narrazione e valorizzazione. 

La villa del ciantro Panitteri e i vasi ritrovati

Quattro i protagonisti della vicenda, che ha fascino e intrecci da romanzo: un Principe austriaco, il suo geniale architetto di corte, un potente “ciantro” della curia di Agrigento – figura sacerdotale incaricata di dirigere il canto liturgico e di curare spazi, collezioni, beni della chiesa – e infine un brillante artista e intellettuale, molto vicino al religioso.
Fu proprio Don Giuseppe Panitteri a entrare in possesso dell’inestimabile tesoro rinvenuto durante alcuni scavi condotti sui terreni della sua villa: 47 vasi, in ottimo stato di conservazione, passati alla storia con il suo nome. Nell’area in cui sorgeva la dimora del ciantro, con la Chiesa di San Nicola e i resti di un monastero cistercense, venne poi costruito il Museo Griffo, inaugurato nel 1967 su progetto di Minissi. Proprio negli ambienti corrispondenti a una porzione dell’antica abitazione è oggi allestita la mostra, capace così di solleticare la memoria e l’immaginazione: il pensiero torna a quelle stanze riccamente affrescate e arredate, dove reperti antichi di ogni sorta erano custoditi ed esposti.

Leo von Klenze fotografato da Franz Hanfstaengl nel 18561 / 4
Leo von Klenze fotografato da Franz Hanfstaengl nel 1856
La villa del ciantro Giuseppe Panitteri, a san Nicola, Agrigento, in una foto dei primi del '900. Oggi sede del museo archeologico Griffo2 / 4
La villa del ciantro Giuseppe Panitteri, a san Nicola, Agrigento, in una foto dei primi del ‘900. Oggi sede del museo archeologico Griffo
ludwig i di baviera ritratto da joseph karl stieler neue pinakothek monaco La storia dei vasi greci di Agrigento finiti a Monaco nel 1824 e tornati a casa nel 20243 / 4
Ludwig I di Baviera ritratto da Joseph Karl Stieler, Neue Pinakothek, Monaco
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Raffaello Politi
Leo von Klenze fotografato da Franz Hanfstaengl nel 1856
La villa del ciantro Giuseppe Panitteri, a san Nicola, Agrigento, in una foto dei primi del '900. Oggi sede del museo archeologico Griffo
ludwig i di baviera ritratto da joseph karl stieler neue pinakothek monaco La storia dei vasi greci di Agrigento finiti a Monaco nel 1824 e tornati a casa nel 2024
Raffaello Politi


Se ne legge notizia, tra le varie testimonianze dell’epoca, nel diario di viaggio di Gustav Friedrich Konstantin Parthey (Viaggio in Sicilia e in Oriente, 1822), uno dei tanti ricercatori e intellettuali che, trovandosi in Sicilia, nell’immancabile passaggio ad Agrigento venivano ricevuti dall’alto prelato con generoso senso di ospitalità. Archeologo, filologo, storico dell’arte ed ellenista, Parthey scriveva di Panitteri: “Egli spende la maggior parte della sua considerevole fortuna in opere d’arte, una qualità che sta diventando sempre più rara in Sicilia. Ha effettuato scavi nei suoi campi fuori città e ha trovato diverse belle statue, che sono conservate nella sua casa di campagna; la cosa più importante, tuttavia, è un’eccellente collezione di vasi antichi, la maggior parte dei quali di eccezionale bellezza, quasi tutti decorati con raffigurazioni mitologiche e di altro tipo. Se la ricchezza dell’immaginazione e la purezza del disegno delle figure sdraiate, in piedi e fluttuanti devono suscitare ammirazione, non meno notevole mi sembra la diversità delle forme dei vasi stessi (…)”.
E ancora, sugli ambienti che accoglievano i vasi attici a figure nere e rosse: “La stanza in cui i vasi sono disposti intorno alle pareti è adeguatamente decorata con allegre pitture murali a motivi greci; è piacevole soffermarvisi; il soffitto, in particolare, è ricco di affreschi di buona fattura, tra i quali spiccano le note danzatrici pompeiane. Il pittore di questi soffitti, Politi, era peraltro grande amico del vivace Ciantro e si occupava del suo amore per l’arte; (…) anche la piacevole disposizione dei vasi è principalmente opera sua”.

La lunga trattativa per la vendita dei vasi

Figura di spicco nel milieu culturale agrigentino e uomo di fiducia del ciantro, Raffaello Politi ebbe un ruolo centrale nella trattativa che avrebbe coinvolto il Principe Ludwig I, erede al trono di Baviera, e l’illustre architetto Leo von Khlenze, suo compagno di pellegrinaggi culturali, incaricato di riprogettare la città di Monaco in stile neoclassico, ispirandosi agli antichi fasti di Atene. Giunti in Sicilia nel 1823 conobbero Panitteri, il quale colse al volo l’occasione: in loro riconobbe due potenziali acquirenti a cui proporre il pregiatissimo gruppo di vasi greci. Lungo fu l’iter che condusse alla felice conclusione dell’affare (per 1400 onze) e poi alla partenza delle casse, fra trattative, discussioni, ricerche di fondi presso il Re (che non ne volle sapere e che considerava il figlio uno “scimunito” amante di “robaccia vecchia”), e poi questioni di dogane, tasse, logistica, preparativi e ancora conti, spese, documenti, lettere e dettagliate note sull’andamento della trattativa. Tutto prezioso materiale, fortunatamente rinvenuto ed archiviato.

sala iv dellattuale alte pinakothek intorno al 1885 in primo piano a sx e stato riconosicuto uno dei vasi panitteri La storia dei vasi greci di Agrigento finiti a Monaco nel 1824 e tornati a casa nel 2024
Sala IV dell’attuale Alte Pinakothek, intorno al 1885. A sx è stato riconosciuto uno psyktèr della Collezione Panitteri


Così, nella “più bella città tra i mortali” descritta da Pindaro, con i templi che offrivano ai colti viaggiatori il brivido di un orizzonte sacro e di un panorama mitologico, von Khlenze trascorse un lungo periodo, studiando reperti e architetture antiche, scavando, spaccandosi la schiena, nutrendo lo spirito e intanto lavorando per il principe.
La sofferta missione “Panitteri” alla fine andò in porto e i vasi giunsero a destinazione all’inizio del 1825, trasferiti con un vascello da guerra austriaco. Cruciale fu l’impegno dei vari mediatori, ma soprattutto la determinazione del Principe, in virtù di una autentica folgorazione: amante del mondo greco e collezionista di sculture classiche, Ludwig fino a quel momento non si era mai interessato all’arte vascolare. I primi esemplari che egli volle a tutti i costi accaparrarsi (anfore, crateri, lekytos, psykter, etc. ) furono quelli del ciantro.
E si trattò solo di un inizio, a cui seguì un’attività ininterrotta di ricerca e acquisizione, tanto che tramite von Klenze riuscì, due anni dopo, ad acquistare 250 vasi, quasi tutti provenienti dall’Italia meridionale, appartenuti a Carolina Lipona, moglie dell’ex re d’Italia Gioacchino Murat, mentre nel 1831 entrava in possesso della celebre collezione Candelori e nel 1845 dei più bei vasi del Principe di Canino Luciano Bonaparte. Alcune immagini storiche documentano le nuove sale, allestite tra il 1840 e il 1841 al piano terra dell’attuale Alte Pinakothek di Monaco: erano dedicate all’esposizione dei vasi antichi dipinti, raccolti negli anni dal Principe Ludwig, con mosaici e frammenti di pittura murale che, su progetto di von Klenze, riproducevano pitture etrusche. Un saggio in chiave archeologica delle origini della pittura occidentale.

il vaso con i poeti alceo e saffo della collezione panitteri 2 La storia dei vasi greci di Agrigento finiti a Monaco nel 1824 e tornati a casa nel 2024
Il vaso con i poeti Alceo e Saffo della Collezione Panitteri

I dieci vasi Panitteri in mostra ad Agrigento

Nell’odierna esposizione c’è il meglio di quell’originaria raccolta, riemersa dopo duemila anni e sopravvissuta ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale: se i vasi più pregiati si salvarono, messi in sicurezza tra i conventi della Baviera, quelli rimasti nei rifugi cittadini furono colpiti. Alcuni irrimediabilmente distrutti, altri restaurati.
Toglie il fiato il gioiello forse più affascinante della collezione. Con la sua atipica forma alta e robusta, il kàlathos-psyktér dipinto con le figure di Alceo e Saffo veniva utilizzato per rinfrescare il vino. L’iconica rappresentazione dei due leggendari poeti di Lesbo, vissuti intorno al 600 a.C., ha alimentato – insieme ai pochi riferimenti testuali pervenuti – le speculazioni intorno al loro rapporto, forse d’amore, forse di stima, forse di competizione.
Nessun dubbio sulla natura dei soggetti, viste le iscrizioni “ALKAIOS – SAPHO” chiaramente leggibili sulla superficie. E mentre dalla bocca di Alceo fuoriesce una sequenza di piccole “o”, a indicare i vocalizzi di riscaldamento, Saffo, di una bellezza dolce e aggraziata, è pronta ad agganciarsi alle note di lui. Entrambi tengono fra le mani il loro “bàrbiton”, strumento a 7 o 8 corde: dopo l’arpeggio che dà il primo accordo, il canto inizia in forma di dialogo o di sfida, di ispirazione comune, forse d’improvvisazione, di duello o di duetto.
Sul retro c’è Dioniso che regge una coppa di vino, nell’atto di officiare un rito insieme a una menade. A un passo dall’estasi e dall’ebbrezza, il dio e la sua seguace incarnano l’abbandono agli impulsi profondi, all’immaginazione, al sentimento del sacro.

la lotta di idas contro apollo in uno dei avsi della collezione panitteri museo griffo agrigento 2024 25 ph angelo pitrone La storia dei vasi greci di Agrigento finiti a Monaco nel 1824 e tornati a casa nel 2024
La lotta di Idas contro Apollo in uno dei avsi della Collezione Panitteri. Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone

Altro gioiello è lo psyktér dalla forma panciuta in cui viene illustrata la contesa tra Apollo e Idas per conquistare la bella Marpessa. Le scene si susseguono secondo una linea cronologica, come su una pellicola, mentre la fine mano del “Pittore di Pan”, a cui il manufatto è attribuito, tra corpi armoniosi e slanciati, svolazzi di vesti, archi e intrecci di chiome, restituisce tutta la tensione della contesa tra il mortale e il dio. Sarà Zeus a sciogliere il nodo, ordinando a Marpessa di scegliere. E lei, scaltra quanto timorosa delle crudeli logiche terrene, andrà con Idas, temendo che Apollo, per sempre giovane, l’avrebbe un giorno abbandonata vedendola sfiorire.
E ancora, vaso dopo vaso, si dischiudono pagine di miti millenari, rappresentati con eleganza del segno e cura del dettaglio: l’immagine di un’amazzone, vestita con il costume dalla forgia orientale attribuito alle mitiche guerriere; un tenero momento di gioco tra un atleta, colto nella perfezione della sua nudità, un giovane vestito con una lunga tunica e un piccolo cane maltese che saltella festoso; oppure l’intreccio di leggeri panneggi e di piume nella scena concitata del ratto di Orizia, figlia del re Eretteo, portata via dal barbuto e alato Borea, mentre danzava lungo la riva del fiume Ilisso.

il vaso con il ratto di orizia da parte di borea collezione panitteri museo griffo agrigento 2024 25 2 La storia dei vasi greci di Agrigento finiti a Monaco nel 1824 e tornati a casa nel 2024
Il vaso con il ratto di Orizia da parte di Borea, collezione Panitteri, Museo Griffo, Agrigento, 2024-25. Ph. Angelo Pitrone

L’importante lavoro di dialogo con l’istituzione tedesca, favorito anche dalla coincidenza tra l’anno di Agrigento Capitale e i due secoli dalla vendita della collezione al Principe Ludwig, ha così regalato al territorio questa temporanea restituzione parziale, con tutte le evocazioni e le memorie che ne scaturiscono, sommando sequenze di studi, di ritrovamenti e riscoperte, di racconti e contemplazioni. Qui la nostalgia per i tesori perduti si fa certezza del loro potere simbolico universale: testimonianze inesauribili e vive, parlano al mondo dell’antica Akragas, tra la luce alta dell’Acropoli e i notturni corridoi delle sacre sepolture.

Helga Marsala
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Dopo le tappe di Abu Dhabi e Kuwait City, la mostra Italian Shoe Design approda a Canton, città costiera della Cina meridionale, crocevia storico di scambi commerciali e oggi hub strategico per l’industria della moda e del tessile. Famosa per la sua storica Fiera, che ogni anno attira buyer da tutto il mondo, Canton — il cui nome in mandarino è Guangzhou — si presenta come il palcoscenico perfetto per ospitare, nei suggestivi spazi del K11 Art Mall, un progetto espositivo che celebra l’eccellenza artigianale italiana attraverso uno degli oggetti più iconici a livello globale: la scarpa. Si tratta di modelli pensati come apice dell’ingegno e della maestria artigiana, capaci di raccontare un’epoca. I dettagli parlano di una cultura materiale che ha saputo trasformare l’oggetto d’uso in opera d’arte.

Italian Shoe Design, Installation view
Italian Shoe Design, Installation view

Il meglio del Made in Italy: gioielli da esposizione a Canton

La selezione delle 31 calzature femminili in mostra è stata curata da Elisabetta Pisu, esperta di design contemporaneo e fondatrice di EP Studio, una realtà che si occupa della promozione del Made in Italy attraverso mostre internazionali. “Le calzature hanno avuto un’evoluzione continua nel corso dei secoli”, racconta Pisu, “le punte hanno cambiato forma più volte diventando arrotondate, squadrate oppure affusolate. Di pari passo il tacco ha mutato aspetto e dimensione, alzandosi o riducendosi, diventando largo o a rocchetto, fino ad assumere un ruolo fondamentale nell’architettura stessa della scarpa”. I modelli, storici o di più recente realizzazione, appartengono ai brand e ai designer più rilevanti del panorama italiano, proprio a voler ribadire la centralità del nostro saper fare nell’immaginario della moda internazionale e l’inestimabile valore culturale che la calzatura italiana continua a rappresentare nel mondo. In mostra anche esemplari rarissimi, spesso custoditi gelosamente dalle maison, accanto a pezzi unici selezionati per l’innovazione del loro design o per la forza evocativa che racchiudono. Una varietà di stili che non solo racconta la capacità di reinventare l’oggetto-scarpa, ma anche l’abilità nel ricercare un equilibrio perfetto tra estetica e funzionalità, rendendo ogni calzatura un’opera d’arte che non solo riflette lo spirito di un’epoca, ma anticipa anche quello che sarà il futuro del design.

Italian Shoe Design, Installation view
Italian Shoe Design, Installation view

Tacco e luce: i codici del desiderio della scarpa, in mostra in Cina

Due sono gli elementi che legano indissolubilmente tutte le calzature della mostra: il tacco e la lucentezza. Il primo, spesso vertiginoso e sottilissimo, rende la scarpa tanto desiderabile quanto inaccessibile. Il secondo, attraverso materiali riflettenti, tessuti iridescenti e pietre Swarovski, dona a ogni modello una brillantezza unica,trasformandolo in un vero e proprio gioiello prezioso. Dalle invenzioni visionarie e innovative di Salvatore Ferragamo all’estetica minimalista di Sergio Rossi, dalla preziosità di René Caovilla alle allegorie di Prada, l’esposizione si snoda attraverso una sinfonia di stili che abbracciano la storia della scarpa italiana. Si alternano l’eclettismo di Versace, le architetture eleganti di Diego Dolcini, e le proposte dei giovani designer italiani, come le forme inusuali e i colori audaci di Francesca Bellavita, le linee essenziali e raffinate di MARIæN e l’iper-femminilità di Alfredo Piferi, che fonde glamour e sostenibilità con un’impronta fortemente innovativa. Ogni paio di scarpe diventa una ricerca scultorea, un’armonia perfetta tra estetica e funzione. L’uso sapiente – e talvolta inusuale – delle forme e dei colori rende ogni modello diverso e per questo unico, ma sempre caratterizzato dallo stesso denominatore comune: quello dell’eccellenza.

Italian Shoe Design, Installation view
Italian Shoe Design, Installation view

La Via della Seta incontra il Made in Italy

Il Made in Italy, nella sua forma più autentica, rappresenta il cuore pulsante della nostra identità, un marchio universalmente riconosciuto come simbolo di artigianalità, unicità, qualità e impegno verso la sostenibilità ambientale. Un’eccellenza che continua a incarnare la perfetta fusione tra innovazione e tradizione, capace di raccontare storie senza tempo. E quale momento migliore per inaugurare questa celebrazione se non lo scorso 15 aprile, in occasione della Giornata Nazionale del Made in Italy, che rappresenta il culmine di un impegno condiviso per esaltare il valore del nostro patrimonio creativo a livello globale. Come sottolineato anche da Valerio De Parolis, Console Generale d’Italia a Canton: “Portando questa mostra dedicata al design della scarpa italiana in occasione della Giornata del Made in Italy, abbiamo voluto celebrare, anche qui nel cuore di Canton, la nostra capacità unica di coniugare l’arte di una tradizione manifatturiera secolare con la bellezza e l’armonia delle forme. Un connubio perfetto di creatività ed eleganza che solo il Made in Italy sa esprimere”. C’è tempo fino al prossimo 20 maggio per visitare Italian Shoe Design, per immergersi nella magnificenza della moda italiana e celebrare una collaborazione autentica tra Italia e Cina. Nonostante la distanza geografica, infatti, sono entrambi abili nel trovare un linguaggio comune che parli di design e artigianalità.
Marta Melini

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