Mayo 17, 2025

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Curioso nome Coppa Pizzeria per un concept d’arte contemporanea. Ma ha il suo perché e ne diamo conto. L’artista Daniele Sigalot (Roma, 1976), che ne è ideatore e kingmaker, fino qualche anno fa era di base a Berlino, dove era solito organizzare partite di calcetto in un cortile, coinvolgendo amici e collaboratori. Base logistica di questa iniziativa ‘dopolavorista’ era lo studio dell’artista, denominato, con l’ironia che contraddistingue Sigalot, La pizzeria.

Il progetto Coppa Pizzeria di Daniele Sigalot

La cosa crebbe; nacque un torneo vero e proprio, con regole tutt’altro che ortodosse e sempre più artistiche. Col tempo l’idea ha assunto connotati da mega evento situazionista. Grosso, ma rigorosamente effimero; ha luogo, infatti, in una sola giornata, una volta l’anno. A pesare sono location e strutturazione dell’‘arena’ in cui si svolgono le ‘ostilità’; spesso il risultato è stupefacente proprio da questo punto di vista. Memorabile l’edizione 2024, tenutasi sul fondo di una piscina olimpionica, il Kursaal di Ostia Lido. Vuoto ovviamente, con il campo di gioco tutto azzurro e ben delimitato anche in altezza, vista la profondità dell’incavo; insomma, un’ambientazione top, alla Matthew Barney prima maniera. E quest’anno? L’evento ha avuto luogo a Napoli, al porto, a inizio maggio. Con dirimpetto il Vesuvio. In un video il grande ex-calciatore Marco Tardelli s’è detto desideroso di esserci, ma anche impaurito per il fatto di essere juventino. Ovviamente siamo andati a curiosare, innamorati come siamo sia dell’arte contemporanea che del calcio. Ah, per chi non lo sapesse, La pizzeria esiste ancora, ma è a Roma, dove Sigalot è tornato a vivere. Un po’ studio e un po’ ritrovo, è uno tra i numerosi hub d’arte contemporanea che stanno ravvivando la scena della Capitale; vale la pena fare un salto.

Coppa Pizzeria 2025, Credito fotografico UNCOSO creative Studio
Coppa Pizzeria 2025, Credito fotografico UNCOSO creative Studio

L’edizione 2025 di Coppa Pizzeria

Apprendiamo che l’assurda Coppa è già alla tredicesima edizione. Ufficialmente è stata dichiarata come l’ultima, ma questo accade ogni anno, sicché non è credibile come notizia; un po’ come quei rivenditori di tappeti che svendono la mercanzia per chiusura locali, ma poi la svendita dura decenni. Infatti, sull’argomento Sigalot si è già smentito, annunciando che l’edizione 2026 sarà a Venezia, durante la Biennale d’Arte. Top. Sigalot dovrà essere bravo a scegliere una location degna di cotanto appuntamento, ma in tal senso ha già dato prova di saper stupire. Tornando al concept, l’idea che ci siamo fatti è che l’ispirazione gli sia venuta dalle divise sempre più improbabili delle squadre di calcio di oggi, soprattutto quando si tratta delle maglie da trasferta, odiate dai tifosi e spesso al limite del circense. La formula, infatti, consiste nel matchare l’agonismo delle partite a eliminazione diretta e la carica visionaria dell’arte performativa. Il clou sta nel vedere calciatori agghindati nei modi più impensabili rincorrere il pallone e azzuffarsi. Il resto lo fa l’imponderabile, ovvero la smania di far finire il pallone in porta, che con tali premesse diventa insieme divertente e sublime.

Coppa Pizzeria 20251 / 3
Coppa Pizzeria 2025
Coppa Pizzeria 20252 / 3
Coppa Pizzeria 2025
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Coppa Pizzeria 2025
Coppa Pizzeria 2025
Coppa Pizzeria 2025
Coppa Pizzeria 2025

L’assurda location della Coppa Pizzeria 2025 a Napoli

Due parole sullo ‘stadio’. Solenne e matto, industrial ed effimero, è stato montato e smontato in 48 ore, da mulettisti professionisti del porto. Era fatto di soli container, disposti a raggiera intorno al terreno di gioco e sovrapposti tra loro in colonne da quattro, sì da raggiungere un’altezza considerevole. Insomma, un mini-Colosseo fatto di rettangoloni rugginosi, punk e molto berlinese. Peraltro super funzionale, visto che i container del livello più basso fungevano da spogliatoi. Notevole che uscendo dai container gli “atleti” somigliassero più a dei gladiatori, nonostante il narcisismo delle loro mise, che ai calciatori-divi di oggi. Menzione a parte per uno dei claim dell’evento, con un giocatore (anzi una giocatrice) in carne ed ossa di Subbuteo – il leggendario gioco da tavolo ispirato al calcio – che si libra in alto tra i container, sollevata da una gru. La scena incanta; sarà che è un omaggio a quel gioco ma anche uno splendido e ieratico tableau vivant.

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Coppa Pizzeria 2025
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Coppa Pizzeria 2025
Coppa Pizzeria 2025
Coppa Pizzeria 2025
Coppa Pizzeria 2025

Come funziona Coppa Pizzeria dell’artista Daniele Sigalot

Qualche informazione di base. Le partite durano cinque minuti (sic) e le squadre si compongono di solo due giocatori, il che è coerente con la storia della performance, da sempre propensa alla configurazione a coppia. Soprattutto, non ci sono regole. Le porte ci sono ma sono piccole, agghindate con paillettes e schermabili con ogni stratagemma. L’anarchia è totale, al punto che anche l’arbitro può fare ciò che vuole, compreso validare goal inesistenti – si sa che quando si esagera in una direzione poi arriva il contrappasso. Le linee di demarcazione contano e non contano, infatti l’invasione di campo da parte del pubblico non è tabù, anzi; questo perché campo e bordo campo sono come arte e vita, si scambiano di posto fino a coincidere, come da tradizione kaprowiana dell’happening, qui declinata in senso pallonaro. Tra una partita e l’altra va in scena il dj-set e il pubblico diventa protagonista. Ma l’intermezzo deve durare poco, quindi si ricorre anche a pezzi musicali improbabili, tipo il melenso Quello che le donne non dicono, che in tale baraonda diventa più paralizzante, dunque efficace, di una qualsiasi hit di un cantante neomelodico locale. Open bar e barbecue a bordo campo rendono il tutto una roba alla Rirkrit Tiravanija. Ma fino a un certo punto, perché qui a dominare è una vena sardonica e nonsense più riconducibile alle pantomime di Frank Zappa. Trentaquattro le squadre, tipo campionato del mondo. I nomi? Da Azz a Fragili sussulti, da Le serenissime a Le gattare, fino a Ultrans e Tutto passa. All’ultimo momento le semifinaliste hanno deciso di fondersi, sicché si è passati direttamente alla finalissima, in spregio all’agonismo messo in mostra fino a quel momento. La mise più divertente? Quella più conceptual, composta da una coppia davvero bizzarra: un gufo che vuole essere una banana, e una banana che vuole essere un gufo – di fatto due pupazzoni da luna park psichedelico. C’erano poi dinosauri, cardinali, supereroi e carte da gioco. Due calciatrici erano vestite da rebus dei programmi televisivi, avevano quindi al seguito grossi cartelli con caratteri cubitali rivelatisi utili – ovviamente – solo nella fase difensiva, come barriera per evitare il goal. Riassumendo, ciò a cui si assiste è qualcosa tra la partita di calcio ilare tra filosofi dei Monty Python e il Burning Man americano. Con palle, palloni e palline che sbucano e piovono da tutti i lati.

Cosa si vince alla Coppa Pizzeria

Le coppe in palio sono più d’una. A parte quella maggiore, ce n’è una per i costumi, la “Narciso”, andata a un calciatore travestito da bidone della spazzatura. Poi c’è un trofeo per il gesto più artistico. Qui c’è stata la doppietta, nel senso che anche questo riconoscimento è andato al cestino umano. La motivazione? Si è reso protagonista del plateale gesto di gettare la prima coppa vinta dentro se stesso. E qui un Tino Sehgal avrebbe urlato This is so contemporary! La chicca sono le “coppe retrospettive”. Si riferiscono agli abbagli presi dai giudici in edizioni precedenti, alle partecipazioni cioè che benché non premiate sul momento sono poi rimaste nella memoria di pubblico e “critica”. Il trofeo è stupendo: un cilindro insulso sormontato dallo specchietto retrovisore di un ciclomotore. Viene da pensare che se a Hollywood esistesse un riconoscimento del genere Stanley Kubrick ne avrebbe fatto incetta. Non mancano bandiere e striscioni, tutti settati su un paradigma metalinguistico, che è tipico dell’arte contemporanea. Nel senso che il pubblico sventola vessilli che inveiscono contro la manifestazione stessa (“Tempo perso” recita un bandierone), ma soprattutto contro il suo artefice Sigalot.

Coppa Pizzeria 2025
Coppa Pizzeria 2025

Tra sarcasmo e autoironia: Daniele Sigalot

In conclusione, Blame Sigalot if this is art! Che poi è lo slogan di una delle squadre partecipanti, parafrasi di uno dei lavori più riusciti del Nostro: un post-it ingigantito che, ironizzando sul paradigma mai davvero popolare del ready-made, recita così: Blame Duchamp if this is art. “E lasciatemi divertire!” sembra dire Sigalot, questo Palazzeschi del contemporaneo. In particolare, con questa Coppa Pizzeria, che è la sua creatura più privata e insieme più blockbuster. Ormai è anche un po’ cult. Va apprezzato da un lato il coraggio, perché l’arte contemporanea di marca concettualista raramente si occupa di un fenomeno considerato pop come il calcio (a memoria ricordiamo solo il video del 2006 di Douglas Gordon e Philippe Parreno Zidane. A 21st century portrait). Ma poi, va evidenziato che si tratta di una maratona di ben otto ore di performance, per giunta non slegate come in un festival, ma incastonate entro un format (in)sensato e bello compatto. Il mood generale è quello dei rave; si fa della partecipation mystique – come la chiamava Carl-Gustav Jung citando Lucien Lévy-Bruhl – ma in salsa pallonara. Parlando di psicologia, si capisce che è il sogno di un introverso diventato anfitrione; d’altronde Sigalot, anche a guardarlo, non è chiaro se sia più romano o tedesco. In conclusione, ben venga il sarcasmo. E l’autoironia. Rispetto alla spocchia di certa arte contemporanea tutta fuffa e retorica, così bene irrisa da Paolo Sorrentino nel suo La grande bellezza, è da preferirsi un concettualismo di questo tipo: pop, inclusivo, cazzone e godibile. Lunga vita.
Pericle Guaglianone
Libri consigliati:

Daniele Sigalot. A portrait of everyone, everywhere. Di Jennie Huston

(Grazie all’affiliazione Amazon riconosce una piccola percentuale ad Artribune sui vostri acquisti)

L’articolo "Una partita di calcio in un Colosseo di container nel porto di Napoli. Finalmente un folle evento d’arte contemporanea" è apparso per la prima volta su Artribune®.

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Tra sperimentazione artistica, promozione di giovani talenti e accessibilità commerciale, il curatore e critico Andrea Lacarpia sceglie una nuova sede per la sua Candy Snake, finora situata nel piano interrato di Galleria Giovanni Bonelli, in Via Lambertenghi a Milano. Infatti, dal 13 maggio 2025, la galleria si troverà in Via degli Orombelli 15, quartiere Lambrate, in un nuovo spazio che (finalmente!) affaccia su strada: a inaugurarlo una mostra collettiva con Riccardo Albiero, Francesco Ardini, Elen Bezhen, Naomi Gilon, Marco Mastropieri, Agostino Rocco, Marco Sandreschi, Simone Stuto e Gloria Tomasini. Questo cambiamento è il segno di una rinnovata apertura verso la città, che inizia sin dagli anni della non profit Dimora Artica e passa dalla vetrina di Edicola Radetzky. Le parole chiave che descrivono l’attività della galleria sono “armonizzazione, piacere e ricerca”, soprattutto con i social e in particolare Instagram, che gioca un ruolo fondamentale nello scouting e nella comunicazione. Per l’occasione ci siamo fatti raccontare tutto dal suo fondatore.

Marco Sandreschi, Isola di notte #3, olio su tela, 40x60 cm1 / 8
Marco Sandreschi, Isola di notte #3, olio su tela, 40x60 cm
Marco Mastropieri, Alta marea, 2022, olio su tela, 60x80 cm2 / 8
Marco Mastropieri, Alta marea, 2022, olio su tela, 60x80 cm
Simone Stuto, Écrire, 2023, olio su tela, 50x50 cm3 / 8
Simone Stuto, Écrire, 2023, olio su tela, 50x50 cm
Agostino Rocco, Felix, 2025, olio su carta su tavola, 21x17cm web4 / 8
Agostino Rocco, Felix, 2025, olio su carta su tavola, 21x17cm
Riccardo Albiero, Hunting scene in the snow, 2025, inchiostro e pigmenti su carta su tavola, 43,5x37cm5 / 8
Riccardo Albiero, Hunting scene in the snow, 2025, inchiostro e pigmenti su carta su tavola, 43,5x37cm
Elen Bezhen, Portrait on a blue background, 2025, olio su tela, 55x46cm6 / 8
Elen Bezhen, Portrait on a blue background, 2025, olio su tela, 55x46cm
Francesco Ardini, Il fauno della sorgente, 2023, ceramica, smalto, lustro, legno, acrilico, nylon con coating metallico, 58x37x6cm7 / 8
Francesco Ardini, Il fauno della sorgente, 2023, ceramica, smalto, lustro, legno, acrilico, nylon con coating metallico, 58x37x6cm
Naomi Gilon, ceramica8 / 8
Naomi Gilon, ceramica
Marco Sandreschi, Isola di notte #3, olio su tela, 40x60 cm
Marco Mastropieri, Alta marea, 2022, olio su tela, 60x80 cm
Simone Stuto, Écrire, 2023, olio su tela, 50x50 cm
Agostino Rocco, Felix, 2025, olio su carta su tavola, 21x17cm web
Riccardo Albiero, Hunting scene in the snow, 2025, inchiostro e pigmenti su carta su tavola, 43,5x37cm
Elen Bezhen, Portrait on a blue background, 2025, olio su tela, 55x46cm
Francesco Ardini, Il fauno della sorgente, 2023, ceramica, smalto, lustro, legno, acrilico, nylon con coating metallico, 58x37x6cm
Naomi Gilon, ceramica

L’intervista ad Andrea Lacarpia di Candy Snake

Come e quando nasce Candy Snake e perché questo nome?
Il progetto di galleria è nato durante il periodo del Covid, quando si è fatta strada l’idea di trasformare Dimora Artica, spazio indipendente che ho fondato nel 2013, in una galleria che unisse attitudine alla sperimentazione, promozione di giovani artisti e semplificazione dell’aspetto commerciale. Il nome della galleria è stato preso in prestito dal titolo di un’opera di Pietro Di Corrado (Cotton Candy Snake) e vuole comunicare l’unione del serpente come simbolo del mistero e della caramella come simbolo del piacere. Quindi una galleria che unisce approfondimento di tematiche legate alla dimensione interiore e culto dell’esperienza estetica come fonte di piacere sensoriale.

Com’è stato passare da una realtà non profit a una commerciale?
La partecipazione alle fiere e la gestione generale è più complessa. La scelta degli artisti resta legata al mio gusto personale, ma è importante che con alcuni artisti si instauri un rapporto di collaborazione continuativa, cosa che nell’esperienza di Dimora Artica non era fondamentale. Inoltre si sono creati dei rapporti di buona amicizia con alcuni collezionisti.

La nuova sede a Milano di Candy Snake

Cosa ricorderai della vecchia sede e quali sono le caratteristiche della nuova?
Nello spazio in Via Lambertenghi era essenziale il rapporto di sinergia con Galleria Giovanni Bonelli, situata nello stesso edificio. Giovanni Bonelli e il suo team mi hanno insegnato molto e si sono creati dei rapporti di amicizia che sicuramente proseguiranno. Il contratto in scadenza mi ha fatto muovere per un nuovo spazio che, rispetto al precedente che era un piano interrato, è affacciato su strada. Questa apertura alla città attraverso la vetrina, che ho sperimentato nella sede di Dimora Artica in Via Dolomiti e nell’esperienza di direzione artistica di Edicola Radetzky, mi mancava molto e quando ho visto questo spazio me ne sono subito innamorato. Inoltre a fianco alla galleria si trova lo studio Superness di Alessio d’Ellena, graphic designer molto attivo nel campo delle arti visive.

Candy Snake Gallery, via degli Orombelli 15, Milano
Candy Snake Gallery, via degli Orombelli 15, Milano

L’attività di Candy Snake e il ruolo dei social

Quali sono le tre parole chiave che identificano l’attività di Candy Snake?
Armonizzazione, piacere, ricerca.

Quale ruolo ricoprono gli strumenti digital e social nel tuo modo di fare ricerca?
Instagram è fondamentale, è diventato lo strumento principale per conoscere nuovi artisti e per comunicare con essi. Molto immediato e utile per avere un’idea generale della ricerca e della personalità dell’artista, che poi ovviamente deve essere approfondita. Nonostante stia lavorando stabilmente con alcuni artisti, l’attività di scouting prosegue incessante.

Quale invece le fiere? E perché spesso scegli rassegne decentrate?
Nei quattro anni di attività della galleria la partecipazione alle fiere è stata intensa, sopratutto negli ultimi due. La fiera è il luogo in cui si incontrano più persone e per me è sempre stimolante pensare all’allestimento dello stand come fosse una piccola mostra in galleria. In questi anni abbiamo scelto di partecipare anche a fiere decentrate rispetto a quelle più note perché sono dei luoghi in cui si può intercettare un pubblico nuovo, formato da piccoli collezionisti molto appassionati. La partecipazione alle fiere porta anche degli stress dovuti all’organizzazione della trasferta in altre città, ma ne vale la pena per il rapporto con un pubblico solitamente più ampio dei visitatori della galleria.

Chi sono gli artisti da tenere d’occhio in questo momento?
Dopo il successo delle ultime fiere in cui l’ho presentato, finalmente a settembre in galleria ci sarà la mostra personale di Riccardo Albiero, che ha recentemente presentato la sua prima personale a Pechino. Poi sto lavorando benissimo anche con Elen Bezhen e Agostino Rocco, due artisti figurativi, dalle tematiche molto diverse ma entrambi connotati da un grande virtuosismo tecnico. Infine, in questa piccola selezione cito Simone Stuto, autore molto attivo in questo periodo e dalla ricerca che unisce diversi riferimenti alla storia dell’arte e della letteratura a una pittura fluida e densa di dettagli, Naomi Gilon, artista oramai storica della galleria, che si muove tra gotico e glamour, unendo sperimentazione nella tecnica della ceramica e interesse per la cultura popolare contemporanea.
Caterina Angelucci

L’articolo "A Milano la galleria d’arte Candy Snake cambia sede: l’intervista al fondatore Andrea Lacarpia" è apparso per la prima volta su Artribune®.

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Ero una studentessa quando nel 1990 ho avuto occasione di vedere la mostra di Felice Casorati (Novara, 1883 – Torino, 1963) a Palazzo Reale. Accompagnava un piccolo gruppo la nostra docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università Statale, Maria Mimita Lamberti, esperta di quel raffinato artista che stavo scoprendo nella sua grandezza proprio in quel momento. Nel corso degli anni ogni volta che ne ho avuto l’occasione ho cercato di approfondire la mia conoscenza su questo artista riservato, colto, per certi versi esoterico.

La mostra di Felice Casorati a Milano

La mostra milanese è una ghiotta occasione in tal senso. Vede coinvolti gli autori del catalogo generale dell’artista, Giorgina Bertolino e Francesco Poli e Fernando Mazzocca, importante studioso di storia dell’arte. Una mostra questa che fa il punto su un protagonista dell’arte e della cultura italiana. Pur avendo vissuto i suoi anni più importanti durante il fascismo, Casorati ha sempre avuto una posizione distaccata dal regime.
Amico del giovane Piero Gobetti, legato al compositore Alfredo Casella, che ritrae in un dipinto presente a Milano, Casorati, laureato in Giurisprudenza, ha lasciato nella città che lo aveva adottato, Torino, tracce fondamentali. Riferimento per intere generazioni ha insegnato all’Accademia Albertina. Alcuni anziani artisti ancor alo ricordano con il suo piglio magistrale e severo, ma ha anche diretto una sua scuola privata di pittura, dove si è formato il gruppo dei Sei.

Annunciazione, 1927, olio su tavola, 151 x 100 cm. Collezione privata. Photo Credit Giuseppe e Luciano Malcangi. © Felice Casorati by SIAE1 / 8
Annunciazione, 1927, olio su tavola, 151 x 100 cm. Collezione privata. Photo Credit Giuseppe e Luciano Malcangi. © Felice Casorati by SIAE
Conversazione platonica, 1925, olio su tavola, 78,5 x 100 cm. Collezione privata. © Felice Casorati by SIAE2 / 8
Conversazione platonica, 1925, olio su tavola, 78,5 x 100 cm. Collezione privata. © Felice Casorati by SIAE
Eclissi di luna o Paralleli, 1949, olio su tela, 100,5 x 50,5 cm. Collezione Andrea e Rosalba Scardina, Torino. © Felice Casorati by SIAE3 / 8
Eclissi di luna o Paralleli, 1949, olio su tela, 100,5 x 50,5 cm. Collezione Andrea e Rosalba Scardina, Torino. © Felice Casorati by SIAE
L'abbraccio, 1914, acquaforte e acquatinta, 305 x 243 mm. Collezione privata. Photo Credit Pino Dell’Aquila. © Felice Casorati by SIAE4 / 8
L'abbraccio, 1914, acquaforte e acquatinta, 305 x 243 mm. Collezione privata. Photo Credit Pino Dell’Aquila. © Felice Casorati by SIAE
Le signorine, 1912, olio su tela. Fondazione Musei Civici di Venezia – Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. © Felice Casorati by SIAE copia5 / 8
Le signorine, 1912, olio su tela. Fondazione Musei Civici di Venezia – Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. © Felice Casorati by SIAE
Le sorelle Pontorno, 1937, olio su tela, 162 x 129 cm. UniCredit Art Collection. Photo Credit Sebastiano Pellion di Persano. © Felice Casorati by SIAE6 / 8
Le sorelle Pontorno, 1937, olio su tela, 162 x 129 cm. UniCredit Art Collection. Photo Credit Sebastiano Pellion di Persano. © Felice Casorati by SIAE
Raja, 1924-1925, tempera su tavola, 120 x 100 cm. Collezione privata. Photo Credit Matteo De Fina. © Felice Casorati by SIAE7 / 8
Raja, 1924-1925, tempera su tavola, 120 x 100 cm. Collezione privata. Photo Credit Matteo De Fina. © Felice Casorati by SIAE
Ritratto di Maria Anna De Lisi o Anna Maria De Lisi, 1919, tempera su tela, 141 x 140 cm. Collezione privata. Photo Credit Pino Dell’Aquila. © Felice Casorati by SIAE8 / 8
Ritratto di Maria Anna De Lisi o Anna Maria De Lisi, 1919, tempera su tela, 141 x 140 cm. Collezione privata. Photo Credit Pino Dell’Aquila. © Felice Casorati by SIAE
Annunciazione, 1927, olio su tavola, 151 x 100 cm. Collezione privata. Photo Credit Giuseppe e Luciano Malcangi. © Felice Casorati by SIAE
Conversazione platonica, 1925, olio su tavola, 78,5 x 100 cm. Collezione privata. © Felice Casorati by SIAE
Eclissi di luna o Paralleli, 1949, olio su tela, 100,5 x 50,5 cm. Collezione Andrea e Rosalba Scardina, Torino. © Felice Casorati by SIAE
L'abbraccio, 1914, acquaforte e acquatinta, 305 x 243 mm. Collezione privata. Photo Credit Pino Dell’Aquila. © Felice Casorati by SIAE
Le signorine, 1912, olio su tela. Fondazione Musei Civici di Venezia – Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. © Felice Casorati by SIAE copia
Le sorelle Pontorno, 1937, olio su tela, 162 x 129 cm. UniCredit Art Collection. Photo Credit Sebastiano Pellion di Persano. © Felice Casorati by SIAE
Raja, 1924-1925, tempera su tavola, 120 x 100 cm. Collezione privata. Photo Credit Matteo De Fina. © Felice Casorati by SIAE
Ritratto di Maria Anna De Lisi o Anna Maria De Lisi, 1919, tempera su tela, 141 x 140 cm. Collezione privata. Photo Credit Pino Dell’Aquila. © Felice Casorati by SIAE

Casorati: gli esordi

La mostra antologica milanese è divisa in sezioni. Dagli esordi tra Padova e Napoli, in cui è compreso tra gli altri Le ereditiere del 1910 alle Allegorie e Simboli che segnano il periodo veronese dal 1912 al 1914, una sezione particolarmente ricca in cui sono anche opere grafiche e sculture, come le tre maschere del 1914, qui riunite.

Casorati a Torino

Il terzo gruppo di opere riguarda il periodo torinese con le grandi tempere realizzate fra il 1918 e il 1920. Maschere e armature tra il 1914 e il 1921 propone le straordinarie tempere dedicate ai giocattoli. Cuore della mostra può essere considerato il gruppo di lavori dell’inizio dei Venti dei quali fanno parte tra gli altri la pierfrancescana Silvana Cenni e Le uova sul cassettone, in cui il richiamo è a certa arte fiamminga. Interessante il rapporto dell’artista con l’industriale intellettuale Riccardo Gualino. Sono qui in mostra, rari a vedersi, i bassorilievi per il teatro privato di casa Gualino, realizzato dall’architetto AlbertoSartoris, e dai pittori Chessa e Casorati, che eseguì in quello stesso periodi gli stupendi ritratti del collezionista, della moglie Cesarina e del figlio Renato, qui in mostra. Un’altra sezione propone le opere per la Biennale veneziana del 1924.

Raja, 1924-1925, tempera su tavola, 120 x 100 cm. Collezione privata. Photo Credit Matteo De Fina. © Felice Casorati by SIAE
Raja, 1924-1925, tempera su tavola, 120 x 100 cm. Collezione privata. Photo Credit Matteo De Fina. © Felice Casorati by SIAE

Casorati: la primavera della pittura

Quindi il gruppo delle conversazioni platoniche della seconda metà dei Venti con persone e oggetti. Le più solari opere realizzate dal 1927 al 1932 sono raccolte sotto il titolo La primavera della pittura. Altre sezioni sono dedicate alle figure malinconiche degli anni Trenta e ai capolavori di questi stessi anni in con protagoniste sono figure di donne. L’enigma di Narciso è il titolo della serie di dipinti realizzati durante la seconda guerra mondiale, al quale fanno seguito le opere degli ultimi anni. In chiusura una scelta dei bozzetti di Casorati scenografo per il Teatro alla Scala, in cui è possibile tirare le fila della sua importante ricerca artistica.
Angela Madesani  
Libri consigliati:

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La Pop Art di Bruno Bozzetto
  • Milano
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Triennale Milano 2025
  • Milano
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Jago e Caravaggio - Natura Morta
  • Milano
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Baj + Milton “Paradiso Perduto” i paradossi della libertà
  • Milano
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Sono passati cento anni dalla pubblicazione di Ossi di Seppia, la prima raccolta di versi di Eugenio Montale (Genova, 1896 – Milano, 1981)
Un anniversario importante che Genova ha deciso di celebrare dedicando una mostra fotografica dedicata al poeta genovese negli spazi di Palazzo Ducale, dal titolo: Meriggiare pallido e assorto. Eugenio Montale: 100 immagini per i 100 anni di Ossi di Seppia (visibile sino al 29 giugno 2025).
Curato da Ilaria Bonacossa e Paolo Verri con Michela Murialdo, il progetto espositivo riunisce gli scatti di Iole Carollo, Anna Positano e Delfino Sisto Legnani, dando forma a uno dei testi letterari che ha segnato il Novecento, ridefinendo il ruolo della poesia nei confronti della realtà.

Anna Positano1 / 8
Anna Positano
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Delfino Sisto Legnani7 / 8
Delfino Sisto Legnani
dsl07123 Genova dedica una grande mostra al poeta e scrittore Eugenio Montale 8 / 8
Anna Positano
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Iole Carollo
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Iole Carollo
Delfino Sisto Legnani
dsl07123 Genova dedica una grande mostra al poeta e scrittore Eugenio Montale 

La mostra dedicata a Eugenio Montale al Palazzo Ducale di Genova

Partendo dallo studio dei versi di Ossi di Seppia e ispirandosi alle invenzioni letterarie dell’autore, Iole Carollo, Anna Positano e Delfino Sisto Legnani hanno realizzato una serie di 99 fotografie che riproducono i luoghi nel modo in cui li guardava Eugenio Montale, ovvero spazi di relazione tra l’essere umano e la natura, capaci di riflettere le trasformazioni provocate dalla storia. 
Il centesimo scatto che chiude il percorso espositivo è il celebre ritratto del poeta con la sua upupa realizzato da Ugo Mulas (Pozzolengo, 1928 – Milano, 1973).

Iole Carollo
Iole Carollo

La mostra a Palazzo Ducale di Genova: gli artisti

Dopo la laurea in Architettura, Delfino Sisto Legnani (Milano, 1985) ha iniziato a lavorare a livello internazionale come fotografo freelance per istituzioni, giornali e riviste indipendenti come Domus, Abitare, Vogue Italia, Mousse Magazine, Kaleidoscope, The New York Times, Repubblica e Corriere della Sera. In alternanza tra fotografia di reportage, architettura e still life, i suoi progetti sono stati premiati ed esposti in gallerie, musei e istituzioni come: la Biennale di Venezia, the Victoria & Albert Museum di Londra, Triennale di Milano, Chicago Architecture Biennale, Manifesta 12 e il Museo MAXXI di Roma.

Completato il Master in Fotografia del London College of Communication dopo la laurea in Architettura dell’Università degli Studi di Genova, Anna Positano (Genova, 1981) è fotografa e ricercatrice indipendente. Attraverso la fotografia approfondisce il rapporto tra paesaggio, architettura e società a partire da un approccio marxista, e guarda all’anticapitalismo, alle teorie postcoloniali e all’ecologia. 
Le sue fotografie sono state esposte in diverse sedi internazionali, tra cui la Triennale di Milano, la Biennale di Architettura di Venezia, Unseen Photo Fair, Camera Torino, CornellUniversity e il MAO di Ljubljana.

Infine, troviamo Iole Carollo (Palermo, 1977) che esplora il rapporto tra fotografia, archeologia e memoria visiva, ponendo un’attenzione particolare alla forma d’archivio, all’esoeditoria, alla fototestualità e ai processi comunitari che l’ha portata a collaborare con università italiane e internazionali. Le sue fotografie sono parte di pubblicazioni scientifiche, cataloghi di mostre e progetti di comunicazione per musei e artisti contemporanei. Oltre a questo, Iole Carollo ha collaborato anche con realtà come il Museo Archeologico Antonio Salinas, il Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo e l’ICCD– Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, contribuendo con i suoi scatti alla valorizzazione del patrimonio storico e artistico.

Delfino Sisto Legnani
Delfino Sisto Legnani

La natura si fa portavoce della frammentazione del tempo

Attraverso un’indagine visiva che alterna il dettaglio ravvicinato all’ampiezza del paesaggio, la fotografia diventa uno strumento per osservare il modo in cui la natura si scompone e si riorganizza, esprimendo il suo continuo mutamento. Così piante, rocce, scogli e particolari del paesaggio marino, terrestre e urbano diventano segni di questa trasformazione, raccontando la frammentazione della materia e la stratificazione del tempo.
Valentina Muzi 

Fino al 29 giugno 2025
Meriggiare pallido e assorto. 
Eugenio Montale: 100 immagini per i 100 anni di Ossi di Seppia
Palazzo Ducale, Genova
Piazza Giacomo Matteotti, 9

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Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, circa due milioni di persone (dei 400 milioni in tutto il continente) arrivarono al porto di Rotterdam, nei Paesi Bassi: obiettivo, Ellis Island. Venivano dalla Russia, dalla Polonia, dalla Germania e dall’Ucraina per fuggire, come sempre è stato nella storia dell’umanità, dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla povertà. Nel corso del Novecento, quel numero non avrebbe fatto che crescere: per approdare negli Stati Uniti o in Canada, arrivavano dal Mediterraneo, dall’Africa, dall’Estremo Oriente. Non poteva che aprire qui, su questi moli – ancora i più importanti d’Europa, ma per il commercio – un grande  museo d’arte sulle migrazioni, il nascituro Fenix.

Installation of Man in Wainscott by Willem de Kooning at Fenix, the new international art museum devoted to migration, opening in Rotterdam on Friday 16 May 2025 Image copyright Robin Utrecht1 / 4
Installation of Man in Wainscott by Willem de Kooning at Fenix, the new international art museum devoted to migration, opening in Rotterdam on Friday 16 May 2025 Image copyright Robin Utrecht
Installation of Man in Wainscott by Willem de Kooning at Fenix, the new international art museum devoted to migration, opening in Rotterdam on Friday 16 May 2025. Image copyright Robin Utrecht2 / 4
Installation of Man in Wainscott by Willem de Kooning at Fenix, the new international art museum devoted to migration, opening in Rotterdam on Friday 16 May 2025. Image copyright Robin Utrecht
Kimsooja, Bottari Truck - Migrateurs, 2007, collection Fenix3 / 4
Kimsooja, Bottari Truck - Migrateurs, 2007, collection Fenix
Red Grooms, The Bus, 1995, collection Fenix4 / 4
Red Grooms, The Bus, 1995, collection Fenix
Installation of Man in Wainscott by Willem de Kooning at Fenix, the new international art museum devoted to migration, opening in Rotterdam on Friday 16 May 2025 Image copyright Robin Utrecht
Installation of Man in Wainscott by Willem de Kooning at Fenix, the new international art museum devoted to migration, opening in Rotterdam on Friday 16 May 2025. Image copyright Robin Utrecht
Kimsooja, Bottari Truck - Migrateurs, 2007, collection Fenix
Red Grooms, The Bus, 1995, collection Fenix

Fenix, il museo d’arte sulle migrazioni

A dimostrazione di come la migrazione sia un fenomeno senza tempo e universale, opponendosi non troppo velatamente al movimento di disumanizzazione e repressione violenta dei migranti che cresce a ogni latitudine, Fenix accoglie le opere di oltre cento artisti provenienti da cinque continenti in un magazzino storico restaurato del 1923. Questo spazio, che sarà inaugurato dalla regina olandese Máxima venerdì 16 maggio 2025, era noto al tempo come San Francisco Warehouse e si estendeva per 360 metri lungo la banchina, spiccando come il più grande magazzino di trasbordo del mondo.

Al suo interno, il museo si snoda su più piani: al piano terra troviamo Plein, una piazza urbana coperta di duemila metri quadri aperta a tutti, dove i programmi saranno co-creati dal basso con il museo stesso. Poi ci saranno diversi spazi di incontro, caffé, panetteria e gelateria, che, anticipano da Fenix, “raccontano storie di migrazione”. Al centro di tutto, il Tornado, opera-struttura alta trenta metri con due scale intrecciate che si snodano a spirale attraverso l’atrio e perforano il tetto in vetro per incontrarsi sulla terrazza panoramica. Come tutto il museo, il Tornado è opera del mega-studio cinese MAD Architects.

Kimsooja, Bottari Truck - Migrateurs, 2007, collection Fenix
Kimsooja, Bottari Truck – Migrateurs, 2007, collection Fenix

Le opere del nuovo museo Fenix

Tra le numerose le opere e installazioni presenti nel museo si spazia dall’inconfondibile The Bus dell’americano Red Grooms, tutto in tessuto e popolato di persone a grandezza naturale tra cui mescolarsi, si passa al famoso scatto dell’italiano Adrian PaciCentro di permanenza temporanea, dalla Peugeot 404 imbottita di fagotti Bottari Truck – Migrateurs dell’artista coreano Kimsooja fino alla grande The Suitcase Labyrinth, con duemila valigie donate da privati. Ognuna con la sua storia, ovviamente.

E poi c’è un dipinto, a cui il museo tiene particolarmente: Man in Wainscott di Willem de Kooning. Realizzata nel 1969 nel suo studio di East Hampton, all’estremità di Long Island, questa grande tela tende un filo tra la sua Olanda e l’America che lo accolse attraverso la luce dell’Oceano.

Red Grooms, The Bus, 1995, collection Fenix
Red Grooms, The Bus, 1995, collection Fenix

Il porto di Rotterdam e Willem de Kooning

E infatti, come tanti, anche Willem de Kooning (Rotterdam 1904 – New York, 1997) crebbe con il sogno dell’America. Lo zio lavorava per la Holland-America Line, quella stessa linea che ogni giorno trasportava al di là dell’Atlantico migliaia di persone, e gli raccontava storie d’oltreoceano. Dopo la scoperta del jazz e del Charleston, l’artista 22enne si decise: avrebbe lasciato Rotterdam e la sua Zaagmolenstraat alla volta di New York. Ancora non sapeva, in quel 18 luglio 1926 sul molo, che dopo la Seconda Guerra Mondiale sarebbe diventato un mito.

La storia di migrazione di De Kooning è tanto vivida quanto la sua opera”, spiega la direttrice di Fenix Anne Kremers, già manager della Chow Tai Fook Art Foundation e prima ancora direttrice di Villa Mondriaan. “Iniziò la sua vita in povertà a Nord di Rotterdam, si imbarcò su una nave quasi cento anni fa come clandestino senza un biglietto valido e finì come un artista di fama a New York. È quasi simbolico che questo dipinto dei suoi anni d’oro sarà ora esposto in modo permanente in un ex magazzino portuale della città che un tempo si era lasciato alle spalle”.

Giulia Giaume

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